FRODI ALIMENTARI, INKOSPOR LAVORA SULLA TRASPARENZA

Mozzarelle sbiancate con soda e perossido di benzoile e pesce vecchio rinfrescato con “lifting” al cafados. C’è questo e molto altro nel VI Rapporto agromafie scattato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e nel sistema agroalimentare. Un giro d’affari di oltre 24 miliardi di euro che, sulla pelle del consumatore, si alimenta con traffici illeciti, truffe, frodi, manipolazioni con pesanti impatti negativi sulla salute dei cittadini.

Un problema, quella della sofisticazione alimentare dovuto dalla non trasparenza delle aziende, a cui Inkospor guarda con particolare attenzione e che riporta sulla ribalta delle cronache nazionali le annose questioni della salubrità del cibo, della tracciabilità delle materie prime e, soprattutto, dell’attendibilità delle etichette: “E quest’ultimo – spiega il titolare di Inkospor Italia Benedetto Catinella – è un problema che ci sta particolarmente a cuore. Perché un’azienda, lo sappiamo tutti, nelle etichette può scrivere tante cose, ma è la corrispondenza tra ciò che dice e ciò che mette nella confezione che, alla fine, fa la differenza. Le etichette di Inkospor sono la carta d’identità dei nostri prodotti, la garanzia più affidabile per il consumatore. Noi, ad esempio, siamo gli unici che indicano in etichetta il punteggio chimico delle proteine che rappresenta l’unico indice della loro qualità: più è equilibrato il profilo aminoacidico, più è elevato il suo punteggio chimico, requisito essenziale per la rigenerazione muscolare ed il rapido recupero. Insomma, sulla trasparenza noi alla Inkospor abbiamo fatto, negli anni, delle vere e proprie battaglie, tanto è vero che permettiamo a chiunque di visitare i nostri stabilimenti, organizzando educational tour nei nostri laboratori di produzione”.

Per Benedetto Catinella il problema è anche quello dei controlli: “Sono anni che lavoriamo in questo settore – spiega – e non abbiamo mai avuto controlli specifici. Nel settore dell’integrazione bastano le auto-certificazioni per andare sul mercato, mentre sarebbero auspicabili verifiche per confermare la veridicità delle etichette in rapporto al contenuto. Perché se nel campo alimentare aumentano i casi di sofisticazioni, figuriamoci che cosa può accadere nel settore dell’integrazione dove la possibilità di ‘barare’ è molto più alta…”.